Nel 1980 l’astronomo Carl Sagan presentava uno stupendo programma televisivo chiamato “Cosmos”, destinato a lasciare un segno nella divulgazione scientifica e dell’astronomia. 34 anni dopo, nel 2014, l’astrofisico Neil DeGrasse Tyson, allievo e amico dello stesso Sagan, ne ha presentato un reboot, “Cosmos: Odissea nello Spazio”, una serie tv in 13 puntate di straordinaria bellezza. Dopo ben 4 anni nuntio vobis gaudium magnum: ho finito di vedere anche l’ultima puntata! A mia parziale discolpa devo confessare che in realtà ho iniziato a guardare questo remake solamente qualche mese fa, ma le colpe restano: ci ho impiegato comunque troppo tempo. Non posso che consigliare a tutti di guardare questo gioiellino divulgativo: la serie è davvero ben fatta, con animazioni, scenografie e argomenti che mirano a colpire al cuore un pubblico il più ampio possibile, non solo i nerd e gli appassionati di astronomia. Ma scrivo queste righe non per recensire tecnicamente la serie TV (oggi si chiamano così…) o spiegare i concetti scientifici trattati, non ce n’è bisogno e non sarebbe davvero il caso, ma perché la visione di “Cosmos” ha suscitato in me moltissime emozioni positive, di meraviglia e grandezza, sulla scienza e sul genere umano, così geniale con la sua mente, eppure spesso così sciocco.
Lo stupore maggiore che incontra chi si avvicina per la prima volta al mondo dell’astronomia è scoprire quanto è grande in realtà l’universo, talmente grande che il nostro cervello non riesce nemmeno a immaginarlo. Questa scoperta porta con sé un’altra consapevolezza: l’uomo è davvero poca cosa nello spazio cosmico, anzi, è davvero insignificante, una briciola infinitesima nell’immensità degli spazi interstellari. Questo stravolgimento di prospettiva, fisica e filosofica, è arrivato in tempi abbastanza recenti tutto sommato, negli ultimi appena 400 anni di una storia evolutiva che si sviluppa da milioni di anni. Sembra quasi incredibile di essere quindi riusciti in un’impresa a dir poco miracolosa: siamo riusciti a capire qualcosina dell’universo in cui viviamo, poca cosa a dir la verità, appena un 5%, ma dalla nostra piccolezza lasciatemi dire che è comunque un risultato straordinario. Come abbiamo fatto?
Mitologicamente, il primo a essersi librato in cielo per amore di conoscenza è stato Icaro con le sue ali di cera, del quale ricordiamo, tuttavia, la brutta fine. Tranquillizziamoci subito però: si tratta per l’appunto solo di un mito. Nella realtà il grande passo verso il cambiamento di prospettiva è nato anch’esso circa 400 anni fa con Galileo Galilei: si chiama metodo scientifico. La scienza (moderna) è ciò che ci ha permesso di librarci in aria verso il cielo della conoscenza, liberandoci dei nostri limiti terrestri per poter volare con le ali della mente. Neil DeGrasse Tyson cita alcune semplici regole che hanno aiutato gli scienziati a compiere questo salto epocale:
- Sfidare l’autorità: nessuna idea è giusta solo perché lo dice qualcuno.
- Ragionare con la propria testa. Occorre mettersi in discussione per verificare la veridicità di una propria convinzione o per scoprire invece che è errata.
- Non credere a qualcosa solo perché fa comodo. Credere a una teoria non la rende vera, anche se questo può darci gioia o sollievo.
- Verificare le idee grazie alle prove emerse da osservazione e sperimentazione. Se una nostra teoria non supera un test ben fatto, è sbagliata: dimentichiamola. Bisogna seguire le prove, dovunque portino, e se non ce ne sono occorre rimandare il giudizio.
- Ma soprattutto, ricordiamoci che tutti possiamo sbagliarci. Anche i migliori scienziati si sono sbagliati: Newton, Einstein e ogni altro grande genio della storia ha commesso degli errori, ed è giusto così: siamo uomini.
La scienza è un modo per non ingannare gli altri e noi stessi. Seguire la scienza ci porterà quindi sempre al bene? No, la scienza è uno strumento di comprensione del mondo, e come ogni strumento può essere usata a fin di bene oppure no. Seguiamo quindi l’invito di Tyson (non Mike…): “Certo, abbiamo fatto un uso improprio della scienza come di qualunque altro strumento a nostra disposizione, per questo motivo non va lasciata nelle mani di una stretta cerchia di potenti. Più diventa parte della nostra vita, meno sarà probabile che qualcuno ne abusi.”
Il 5 settembre 1977 partì dalla base NASA di Cape Canaveral la missione Voyager 1, con lo scopo di esplorare le regioni più remote del Sistema Solare. 13 anni dopo, su consiglio di Carl Sagan, la NASA comandò la Voyager 1 in modo che si voltasse a scattare un’ultima foto di casa sua, il Pianeta Terra. Quella foto è passata alla storia come “Pale Blue Dot” ed è una delle immagini astronomiche più commoventi e straordinarie di tutti i tempi.
Nel 1994 Carl Sagan pubblicò il libro “Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space”, in cui incluse un suo intimo commento a quella incredibile immagine. Credo che non leggerete mai nulla di più stimolante. Le capacità dell’uomo di creare, amare, unire, quando combinate insieme per un fine più grande possono illuminare anche l’oscurità più profonda.
Carl Sagan:
«Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere in aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.»
Buon cambio di prospettiva.
P.S. Siete riusciti a trovare la Terra nell’immagine?