Ciao, nonna

Nonna se n’è andata in un insignificante martedì di novembre. Lo sapevamo tutti che sarebbe successo, e sotto certi aspetti glielo auguravamo. Era già da qualche anno che nonna non era più con noi, sicuramente ha iniziato ad allontanarsi un pochino quella volta che mia mamma le ha spiegato come si cucinavano le carote, perché lei non se lo ricordava più. Abbiamo provato tutti a farle tornare i ricordi e quello che sicuramente non si è mai arreso è stato mio nonno, almeno fino a quando non l’ha salutata prima lui, prendendosene cura fino all’ultimo. Eravamo preparati a questo terribile male che ti toglie la dignità poco alla volta, spogliandoti della tua umanità come un vestito che non ti entra più. Vedere una persona cara che si dimentica chi sei è un crimine. Dovrebbe essere vietato per legge. Ma anche se speravamo che se ne andasse serenamente, comunque non eravamo pronti quando è successo, e non credo che qualcuno potrà mai esserlo. Non tanto per il dolore della perdita, che è incolmabile, quanto più per la delusione. Credo che questo senso di vuoto sia dovuto il più delle volte alla banalità con cui finisce la vita. Non è possibile che una cosa così enorme come una vita che nasce e che impiega nove mesi a costruirsi pezzo dopo pezzo, una cosa così speciale e incredibile come la vita, possa spezzarsi ed essere spazzata via in un nebbioso pomeriggio autunnale. La vita dovrebbe finire con il botto, con una pioggia di fiori color arcobaleno accompagnati da un’orchestra di trombe, che rendano onore a tutto ciò che di speciale ha rappresentato quella persona, quella semplice, magica vita.

Niente di tutto ciò però succederà mai, e forse dovremmo imparare ad abituarci al fatto che non solo la vita finisce, ma finisce in modo banale. Una cosa però possiamo ancora farla: non dimenticarci di chi ci ha lasciato, perché il ricordo che ci portiamo dentro vale più di mille fiori color arcobaleno. Ciao, nonna.

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(Dis)obbedire

Accolgo l’invito di Paolo a riflettere ancora una volta su ciò che stiamo vivendo da ormai più di un anno. Facendo una rapida cernita, mi accorgo che da quando è iniziata la pandemia questa è già la quinta riflessione che scrivo sugli stessi argomenti: a dire la verità sono anche un po’ stufo di non trovare altro di cui parlare, ma è anche (purtroppo) inevitabile che sia così dal momento che questa è praticamente l’unica esperienza che abbiamo da oltre un anno, a parte quelle vissute sul lavoro o immaginate nei libri che per fortuna ci è ancora concesso leggere. E’ la quinta volta dicevo, ma incredibilmente sembra che ogni volta gli argomenti siano diversi dai precedenti e ci sia sempre qualche aspetto che la volta prima mi è sfuggito o sembrava diverso. In effetti molte riflessioni sembrano nuove semplicemente perché cambia il nostro modo di approcciarci agli stessi problemi: per fortuna siamo ancora capaci di fare tesoro delle esperienze passate nonostante l’eterno presente in cui ci troviamo e questo ci consente di affrontare ogni giorno uguale come se fosse un’assoluta novità. Sai che novità, direte voi.

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Conversazione semi-immaginaria sul posto dove non siamo

“Mi sa che voi sulla terra sprechiate il vostro tempo a chiedervi troppi perchè. D’inverno non vedete l’ora che arrivi l’estate, poi d’estate avete paura che ritorni l’inverno. Per questo non vi stancate mai di viaggiare, di rincorrere il posto dove non siete…dove è sempre estate. Non dev’essere un bel lavoro.”

La leggenda del pianista sull’oceano

– Sai, mi manca il Politecnico.

– Sei impazzito?

– Forse sì.

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Se questa è vita

Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi”. E’ una frase che pronunciò il parroco una domenica durante l’omelia, quando ancora frequentavo quei dintorni. Secondo la sua narrazione, non è importante sapere perché siamo vivi, ma piuttosto dovremmo chiederci per chi o per che cosa stiamo vivendo, come se la vita dovesse per forza avere uno scopo che ci indirizza. Credo che sia insito nella nostra natura di esseri umani cercare sempre un fine alle cose prima ancora di capire come funzionano. 

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Naturalmente

C’è un aspetto importante che questa pandemia ha fatto riaffiorare, ma che tuttavia non mi sembra sia stato ancora analizzato. Il coronavirus è la prima vera emergenza, non causata dall’uomo, a riguardare l’umanità intera da almeno 50 anni a questa parte. Per quanto mi riguarda, è la prima emergenza mondiale della mia vita. Credo che il disorientamento che molti di noi provano di fronte a questa situazione inedita sia dovuto al fatto che per la prima volta nelle nostre vite avvertiamo la Natura come Matrigna. L’immagine della Natura a cui siamo abituati è quella che vediamo nei documentari: paesaggi incredibili che destano invidia e stupore per un paradiso perduto, divelto dalla mano artificiale dell’uomo. Ovunque nelle pubblicità continuiamo a sentire il richiamo del naturale come qualcosa di incredibilmente attraente, che si contrappone a ciò che è invece artificiale, industriale, umano. Vogliamo cibo biologico ritenendolo più sano e sicuro di quell’altro (non saprei neanche come definirlo), ci facciamo i selfie in montagna per mostrare quanto amiamo l’ambiente selvaggio, lanciamo hashtags sui social per difendere l’orso polare che sta perdendo il suo habitat naturale nel pack artico.

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Echi dal passato

Eccomi. Manco da molto tempo su queste pagine, ma da quando ho terminato la mia vita da studente non ho ancora imparato a gestire in maniera ordinata il tempo a disposizione. Mi perdonerete se ci siamo lasciati in pieno lockdown con determinati argomenti e riprendo ora a scrivere con gli stessi argomenti di qualche mese fa. Il fatto è che questi mesi di libertà vigilata mi hanno dato la possibilità di riflettere su ciò che leggevo e scrivevo allora e di poter quindi tirare le somme di quanto abbiamo visto. Si sentano in particolar modo chiamati in causa tutti i Viandanti, in quanto sono andato a rileggere le loro riflessioni dalla Quarantena per vedere un po’ che effetto fa analizzarle a distanza di qualche mese e in prossimità, forse, di un nuovo lockdown. Direi che per non perdere le buone abitudini queste riflessioni debbano necessariamente essere strutturate per punti come in precedenza. Non perdiamo quindi tempo:

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Le regole del gioco

A quanti giochi sapete giocare? Giochi di carte, altri giochi da tavolo, giochi all’aperto, videogames, giochi di squadra, solitari. Sicuramente moltissimi e, se ve la cavate abbastanza bene, sapete anche che esistono alcune semplici regole, comuni a tutti i giochi, da rispettare:

  1. Tutti i giocatori devono conoscere le regole del gioco
  2. Tutti i giocatori devono rispettare le regole del gioco

Fine delle regole comuni. Perché il gioco funzioni è infatti necessario che tutti i giocatori ne conoscano le regole. Vi è mai capitato di “fare una mano” con le carte scoperte per insegnare a qualcuno come si gioca? O di accordarvi all’inizio della partita per sapere se gli altri giocatori usano il 3 o il 7 nella briscola? Bene, allora sapete cosa intendo. Se poi qualcuno bara, il gioco diventa molto meno divertente e probabilmente salta. 

Inoltre sapete anche che in tutti i giochi alla fine qualcuno vince, mentre gli altri perdono, difficilmente vincono tutti. Il bello di questi giochi, però, è che esiste la possibilità di fare sempre partite nuove e quindi hanno tutti la possibilità di vincere e di giocare partite più fortunate e altre meno. Ora vorrei però segnalarvi un gioco al quale sto giocando da moltissimo tempo, diverso da tutti quelli di cui abbiamo parlato finora. Si chiama: società civile.
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Riflessioni dalla quarantena

Di riflessioni sulla quarantena ne avrete probabilmente lette già di ogni sorta, d’altronde non è che ci sia poi molto da fare in casa per far passare il tempo: un po’ si fanno le pulizie, un po’ si guarda la televisione e un po’ ovviamente si legge, con alcune varianti in mezzo per chi, per esempio, abita in campagna e può dedicarsi, oltre alle pulizie della casa, anche a quelle del giardino. E di riflessioni ne ho lette molte anche io, sensate e meno sensate, le più belle le riporto al fondo di questo articolo nei link, ma prima vorrei contribuire anche io in qualche modo a evidenziare alcune cose. Ecco quindi le mie riflessioni in ordine sparso:

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Abbasso la semplicità, viva la semplicità!

L’isolamento forzato di queste settimane porta con sé gli innegabili effetti della solitudine, peraltro benvenuti (ogni tanto), tra cui quello di trovare più occasioni per fermarsi a riflettere tra sé e sé. Inondato dalle notizie sul coronavirus, come d’altronde è inevitabile, dopo qualche giorno in cui cercavo attivamente informazioni sulla pandemia in atto (così è stata definita dall’OMS) ho smesso ormai da una settimana di frequentare quotidiani online e trasmissioni televisive, lasciandomi raggiungere solamente da una newsletter serale che raccoglie i fatti essenziali della giornata. Mi sembra di aver notato infatti, ma è un parere personale derivato da misurazioni soggettive, che in questa emergenza sanitaria abbia iniziato a diffondersi più di prima un altro virus più subdolo e, per certi aspetti, anche più pericoloso: il virus della semplicità. Fermi tutti, lo so che nella breve biografia su questo sito e altre pagine personali ho scritto che “credo nella semplicità”, e infatti continua a essere vero, ma ritengo utile spingersi oltre e cercare di approfondire cosa intendo.  Continua a leggere “Abbasso la semplicità, viva la semplicità!”

Il voto “nascosto”

Gli effetti collaterali di comprare casa e rendersi indipendenti (economicamente) dai genitori che ti hanno cresciuto fin da bambino, si vedono, soprattutto inizialmente, nel grande numero di scelte che si è chiamati a compiere da quando si prende la decisione a quando poi questa sarà pienamente attuata. Con effetto immediato iniziano quindi le prime spese e i primi addebiti importanti sul conto corrente, contestualmente a tutta quella serie di oggetti che per necessità devono essere presenti in un qualunque immobile per poterlo chiamare “casa”. Nonostante io sia l’opposto di un accumulatore seriale è chiaro che certi oggetti sono imprescindibili: la cucina, i sanitari, il letto, i libri, solo per citare alcuni esempi. Mentre per alcuni si può attingere all’accumulo esagerato dei nostri avi, che hanno probabilmente sentito la necessità di mettere da parte in quanto hanno vissuto le ristrettezze economiche della guerra e degli anni della ricostruzione, altri dovranno essere acquistati nuovi, andando quindi ad alimentare l’economia del consumismo, che prevede che gli oggetti non debbano durare in eterno, ma siano presto scartati e gettati in discarica per essere sostituiti dal nuovo ultimo modello. Si rivela quindi più che mai necessario prestare molta attenzione nel momento in cui siamo chiamati alle urne. Continua a leggere “Il voto “nascosto””