Il testo che trovate qui di seguito è nato su suggerimento di Paolo Repetto, viandante della prima ora e persona amica di lunga data, che ne ha scritto anche l’introduzione in corsivo. Forse è un ritratto di un viandante in cammino, forse un racconto di un ragazzo curioso, forse una storia intima che non dovrei condividere. Ma la scrittura è un germoglio fuggevole che strappa i pensieri e li espone al giudizio del mondo; solo chi ha coraggio scrive davvero. Buona lettura.
Lo schizzo autobiografico che segue non è un selfie realizzato con altri mezzi. Nasce da una precisa sollecitazione rivolta al suo autore: volevo capire qualcosa del rapporto che un “nativo digitale”, sia pure della primissima ora, ha intrattenuto con ciò che si lascia alle spalle, la scuola, e delle aspettative che ripone in ciò che lo aspetta, la vita “adulta”. Da quando la scuola l’ho lasciata anch’io, dopo sessant’anni, non ho molte occasioni per frequentare e osservare da vicino questa generazione (e i figli per queste cose non fanno testo). Ciò che mi arriva è solo quanto riportano i giornali e la televisione, in qualche caso quanto gira sui social: fonti assolutamente inattendibili, che tuttavia riescono lo stesso a creare una sensazione di vuoto o di tristezza assoluta.
Marco lo conoscevo bene più di tre lustri fa, e posso assicurare che era davvero pestifero e ipercinetico come lui stesso si racconta. In seguito l’ho rivisto saltuariamente, ogni volta stupendomi della trasformazione in atto, di come stesse incanalando in positivo tutta quell’energia. E non è un caso isolato: conosco diversi suoi coetanei che hanno fatto lo stesso percorso. Forse sono solo fortunato, o forse varrebbe la pena rivedere un po’ il discorso sull’influenza che la scuola e la famiglia possono ancora esercitare, alla faccia della loro conclamata crisi e dello strapotere degli altri canali formativi.
Per intanto, godetevi assieme a me questo pezzo: è raro ascoltare la voce di qualcuno che non si sente in credito con la vita, non cova rancori, non si atteggia a vittima della società, sa di doversi assumere delle responsabilità ed è pronto a farlo. È raro, ma non perché Marco sia un esemplare unico, da WWF: è solo perché questi qualcuno hanno un sacco di cose da fare, hanno progetti per sé e per gli altri, vogliono dare un senso alla propria esistenza, senza aspettare che arrivi loro con lo spirito santo, e quindi non possono e non vogliono concentrarsi sul proprio ombelico (che sta in mezzo alla pancia), e preferiscono far girare il cervello.
Magari non li vedremo in tivù, ma ci sono: e ciò è sufficiente a far saltare ogni alibi per l’atteggiamento rinunciatario col quale troppo spesso assistiamo passivi allo sfascio. C’è speranza, finché circolano viandanti di questa specie. (P.R.)
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