Ciao, nonna

Nonna se n’è andata in un insignificante martedì di novembre. Lo sapevamo tutti che sarebbe successo, e sotto certi aspetti glielo auguravamo. Era già da qualche anno che nonna non era più con noi, sicuramente ha iniziato ad allontanarsi un pochino quella volta che mia mamma le ha spiegato come si cucinavano le carote, perché lei non se lo ricordava più. Abbiamo provato tutti a farle tornare i ricordi e quello che sicuramente non si è mai arreso è stato mio nonno, almeno fino a quando non l’ha salutata prima lui, prendendosene cura fino all’ultimo. Eravamo preparati a questo terribile male che ti toglie la dignità poco alla volta, spogliandoti della tua umanità come un vestito che non ti entra più. Vedere una persona cara che si dimentica chi sei è un crimine. Dovrebbe essere vietato per legge. Ma anche se speravamo che se ne andasse serenamente, comunque non eravamo pronti quando è successo, e non credo che qualcuno potrà mai esserlo. Non tanto per il dolore della perdita, che è incolmabile, quanto più per la delusione. Credo che questo senso di vuoto sia dovuto il più delle volte alla banalità con cui finisce la vita. Non è possibile che una cosa così enorme come una vita che nasce e che impiega nove mesi a costruirsi pezzo dopo pezzo, una cosa così speciale e incredibile come la vita, possa spezzarsi ed essere spazzata via in un nebbioso pomeriggio autunnale. La vita dovrebbe finire con il botto, con una pioggia di fiori color arcobaleno accompagnati da un’orchestra di trombe, che rendano onore a tutto ciò che di speciale ha rappresentato quella persona, quella semplice, magica vita.

Niente di tutto ciò però succederà mai, e forse dovremmo imparare ad abituarci al fatto che non solo la vita finisce, ma finisce in modo banale. Una cosa però possiamo ancora farla: non dimenticarci di chi ci ha lasciato, perché il ricordo che ci portiamo dentro vale più di mille fiori color arcobaleno. Ciao, nonna.

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Conversazione semi-immaginaria sul posto dove non siamo

“Mi sa che voi sulla terra sprechiate il vostro tempo a chiedervi troppi perchè. D’inverno non vedete l’ora che arrivi l’estate, poi d’estate avete paura che ritorni l’inverno. Per questo non vi stancate mai di viaggiare, di rincorrere il posto dove non siete…dove è sempre estate. Non dev’essere un bel lavoro.”

La leggenda del pianista sull’oceano

– Sai, mi manca il Politecnico.

– Sei impazzito?

– Forse sì.

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Se questa è vita

Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi”. E’ una frase che pronunciò il parroco una domenica durante l’omelia, quando ancora frequentavo quei dintorni. Secondo la sua narrazione, non è importante sapere perché siamo vivi, ma piuttosto dovremmo chiederci per chi o per che cosa stiamo vivendo, come se la vita dovesse per forza avere uno scopo che ci indirizza. Credo che sia insito nella nostra natura di esseri umani cercare sempre un fine alle cose prima ancora di capire come funzionano. 

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Darwin e la Via del camminare

Nel 1836, tornato da 5 anni e mezzo di viaggio sulla nave Beagle, passati a osservare la storia naturale del Sudamerica e del Pacifico, Charles Darwin si trasferì in una casa nel centro di Londra, in una posizione certamente favorevole allo scambio di idee con il mondo scientifico dell’epoca. Dopo 6 anni, però, nel 1842, con la moglie Emma, si rifugiò in una tranquilla casa nella campagna inglese, pur rimanendo abbastanza vicino a Londra per essere accessibile agli amici e avere notizie sugli ultimi studi e ricerche. Il suo intento era quello di mettere su famiglia e sfuggire alle distrazioni cittadine. Nella villa vive ancora oggi uno dei discendenti del grande scienziato, che si occupa di curare la casa e la proprietà intorno. È grande e bianca, con un ampio giardino che si estende nel parco e poi nella campagna circostante, occupando uno spazio di oltre sette ettari. Darwin aveva acquisito il terreno da un vicino, ci aveva piantato noccioli, betulle, cornioli, carpini e altri alberi e aveva creato un sentiero di terra battuta per camminare nella sua proprietà, un viale alberato che gira tutto intorno alla “Down House”. Quasi ogni giorno, Darwin percorreva questo viale, il “Sandwalk”, pensando ai non pochi problemi che la formulazione della teoria dell’evoluzione certamente gli poneva. Il suo metodo era questo: appena aveva un’idea, iniziava a sottoporla a tutte le possibili obiezioni finché non ne trovava tutte le spiegazioni e la poteva considerare a prova di confutazione. A ogni giro del Sandwalk, spostava un ciottolo del sentiero sul bordo della strada. Quando aveva risolto il problema, guardava quanti ciottoli aveva accumulato, quindi quanti giri aveva fatto pensando alla soluzione. In questo modo catalogava l’importanza e la difficoltà dei problemi che andava affrontando e risolvendo. Per quasi quarant’anni, Darwin percorse questo sentiero di circa quattrocento metri in lungo e in largo, meditando sulle proprie idee, in uno dei periodi più fruttuosi della sua vita. Continua a leggere “Darwin e la Via del camminare”

Niente

Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena fare niente.

È così che comincia il romanzo “Niente” di Janne Teller. Se non c’è nulla che ha davvero senso, allora tanto vale non fare niente. E in effetti non ci sarebbe niente da obiettare, riducendo al nulla anche ogni eventuale obiezione. Ma è una frase che nella sua semplicità spaventa, perché sembra gettarci in faccia una triste verità pronunciata da un bambino di tredici anni, una logica disarmante che non si risolve fino alla fine del libro. È davvero così? Non c’è nulla che valga la pena fare? Ma soprattutto, non c’è niente che abbia senso?

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Buon anno e buone feste

Un altro anno è quasi finito e ci apprestiamo a iniziarne uno nuovo. Per qualcuno quello passato non è stato particolarmente felice, ad altri ha portato invece gioie e soddisfazioni. Per me è stato un anno abbastanza denso di impegni e attività, con la riapertura del blog, ho scritto un libro e un libretto, ho partecipato alle attività del Gruppo Astrofili Galileo di Alessandria e contribuito a mio modo ai Viandanti delle Nebbie, ho letto un po’ di libri, mi avvio verso la fine dell’esperienza universitaria, ho fatto il fidanzato, lo zio e l’amico (spero). Insomma, come tante altre persone, direi anzi quasi tutte, sono stato impegnato in molte cose, forse troppe, e varrebbe la pena di fermarsi a respirare la vita ogni tanto, mettendo da parte le preoccupazioni e gli impegni per assaporarne l’essenza. L’augurio migliore che posso fare a voi, a me, a tutti noi per il nuovo anno è quindi di ritrovare un po’ di calma, che in questi tempi di consumismi e multi-tasking sembriamo ormai avere perso. Vorrei farlo con una citazione tratta da un libro “L’arte di passare all’azione” di Gregg Krech:

Rallentare. Questo potrebbe essere l’unico rimedio efficace per la particolare missione di salvataggio del mondo cui voglio dedicarmi: la lotta per la sostenibilità, per una vita armoniosa che rispetti i limiti e le leggi del pianeta Terra.
Se non avessimo tutta questa fretta, avremmo il tempo di andare a piedi anziché in auto, di viaggiare in barca a vela anziché in aereo. Di raccogliere la sporcizia che seminiamo qua e là. Di discutere i progetti con la comunità prima di mandare i bulldozer a fare cambiamenti irreversibili. Di calcolare quanto pesce possa produrre l’oceano prima che i pescherecci facciano a gara per depredare il poco che resta.
Immaginate di muovervi a un ritmo abbastanza lento non solo per annusare i fiori, ma anche per percepire le sensazioni del vostro corpo, per giocare con i bambini, per guardare in faccia le persone care senza i vincoli imposti da orari o tabelle di marcia. Supponete di non dovervi più ingozzare al fast food e di iniziare ad assaporare lo slow food, coltivato, cucinato, servito e mangiato con amore. Ipotizzate di avere ogni giorno la possibilità di starvene seduti per un po’ in silenzio.
Credo che se facessimo queste cose il mondo non avrebbe bisogno di essere salvato. Ridurremmo drasticamente il consumo di energia e di risorse perché godremmo appieno di ciò che usiamo. Non dovremmo acquistare un mucchio di oggetti che ci permettano di risparmiare tempo (vi siete mai chiesti che fine facciano i minuti che economizziamo grazie a questi aggeggi?). Non commetteremmo così tanti errori. Ci ascolteremmo di più e ci feriremmo di meno. Forse avremmo perfino la possibilità di ragionare sulle nostre soluzioni preferite, di testarle e di osservarne i veri effetti.

Non mi resta che sperare che questi buoni propositi si trasformino in azioni concrete, per voi e per me. Buone feste e buon anno, sinceramente.

Marco

Si fa così – Oltre le regole

  1. Non ti precluderai delle porte a priori.
  2. Non prendere strade alternative.
  3. Ricordati di santificare lo stipendio.
  4. Onora il capo.

Questi sono solo alcuni dei comandamenti indiscutibili che fin da piccoli ci vengono messi in testa. Farai le elementari, poi le medie, poi sceglierai una scuola superiore che ti apra molte “porte”, farai una facoltà universitaria che ti dia molte opportunità e ti permetta di trovare lavoro, per raggiungere la stabilità economica, così potrai sposarti, avere due figli e potrai infine dire di aver raggiunto il successo. La vita, sotto questo punto di vista, appare dunque come una lunga scalinata, ripida e faticosa, fatta di soli sacrifici e decisioni prese per un bene più grande, un fine ultimo, quello di poter dire un giorno: “Ecco, ora sono arrivato”. È la pentola d’oro che ci aspetta in fondo al tunnel, la luce in fondo al buio, il successo contro la mediocrità. Il problema di questa visione del mondo, però, è che implica una certa idea di successo, un’idea nata dalla società dei consumi, in cui anche la vita diventa un bene da consumare, in cui bisogna sopravvivere e risparmiarsi per godere un giorno dell’agognata felicità che ci daranno uno stipendio a molti zeri, i benefit aziendali e una famiglia da Mulino Bianco. La verità, però, è che non è detto che esista la pentola d’oro, che tutti possano arrivarci e che una volta arrivati ci dia la felicità. La verità è che non esiste una soluzione a tutti i problemi, un equilibrio finale a cui puntare, perché tutto cambia e tutto scorre, tutti siamo diversi eppure tutti uguali, tutti abbiamo una maschera dietro cui nascondiamo i nostri sogni, le nostre paure, le nostre debolezze. Continua a leggere “Si fa così – Oltre le regole”

“Cosmos”, riflessioni sull’Universo da un pallido puntino blu

Nel 1980 l’astronomo Carl Sagan presentava uno stupendo programma televisivo chiamato “Cosmos”, destinato a lasciare un segno nella divulgazione scientifica e dell’astronomia. 34 anni dopo, nel 2014, l’astrofisico Neil DeGrasse Tyson, allievo e amico dello stesso Sagan, ne ha presentato un reboot, “Cosmos: Odissea nello Spazio”, una serie tv in 13 puntate di straordinaria bellezza. Dopo ben 4 anni nuntio vobis gaudium magnum: ho finito di vedere anche l’ultima puntata! A mia parziale discolpa devo confessare che in realtà ho iniziato a guardare questo remake solamente qualche mese fa, ma le colpe restano: ci ho impiegato comunque troppo tempo. Non posso che consigliare a tutti di guardare questo gioiellino divulgativo: la serie è davvero ben fatta, con animazioni, scenografie e argomenti che mirano a colpire al cuore un pubblico il più ampio possibile, non solo i nerd e gli appassionati di astronomia. Ma scrivo queste righe non per recensire tecnicamente la serie TV (oggi si chiamano così…) o spiegare i concetti scientifici trattati, non ce n’è bisogno e non sarebbe davvero il caso, ma perché la visione di “Cosmos” ha suscitato in me moltissime emozioni positive, di meraviglia e grandezza, sulla scienza e sul genere umano, così geniale con la sua mente, eppure spesso così sciocco. Continua a leggere ““Cosmos”, riflessioni sull’Universo da un pallido puntino blu”

Ancora un altro giorno

Non mi sono mai soffermato a riflettere compiutamente sulla morte, se non di sfuggita in qualche pensiero fugace. Forse perché non l’ho mai incontrata da molto vicino, forse perché quando si è giovani non si riesce a concepire la fine della vita, ma solo l’inizio e ciò che ne consegue. La prima volta che ho incontrato la morte è stato molto tempo fa, con la perdita della mia bisnonna, avevo 8 anni credo; a quell’età la morte ci appare come qualcosa di molto strano e curioso, qualcosa che accade per sbaglio alle persone anziane distratte e che tuttavia sembra avere un rimedio, un passaggio a un altro stato dell’essere, che ci provoca profondo dolore momentaneo, ma che svanisce velocemente, appena si trova un altro gioco sufficientemente divertente. In seguito, la morte si è ripresentata in altre occasioni, con la scomparsa di un cugino di mio padre e di una zia di mia madre. Non ho molti ricordi di quei momenti, sono passati abbastanza in fretta, non per insensibilità, ma perché ero ancora “piccolo” e nonostante l’affetto che potevo provare per quei parenti prossimi, non erano persone che frequentavo così spesso da sentire un profondo vuoto dalla loro mancanza.

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Punto di Bassa Risoluzione

Dalla prima rivoluzione industriale in avanti, passando per la rivoluzione tecnologica iniziata con l’invenzione del transistor e proseguita poi con la rivoluzione dell’informazione con la nascita di internet, sembra ormai inevitabile che a un certo punto del grado di sviluppo di una tecnologia, a causa di un utilizzo scorretto (agli occhi di chi?) e certamente non in linea con le ragioni per le quali quella tecnologia è stata sviluppata, venga in essa indotta una mutazione, spontanea o ricercata, che la porta a deviare oltre il punto di bassa risoluzione. Questo ipotetico punto di una curva che ha sui due assi il tempo e il grado di sviluppo, delinea una situazione per la quale una tecnologia che si è evoluta per un certo scopo finisce per tradire la sua “mission” originaria, in nome di nuove e mutate esigenze di consumo. Continua a leggere “Punto di Bassa Risoluzione”